Parlando con tanti Clienti in questi giorni mi sono accorto di come tutti noi siamo condizionati dalle informazioni che incessanti continuiamo a ricevere. In molti mi dicono: “questa volta è diverso”. Ma la realtà oggettiva è che questo virus non è diverso dai precedenti. Semplicemente è il primo intorno a noi ed è il primo dell’epoca dei social network.
Era sabato ed ero in giro in montagna alle prime notizie del virus. Abbiamo iniziato con un virus. Poi è stato il caos. Come si è passati in una manciata di ore dalla notizia del primo caso di coronavirus nel Lodigiano, a svaligiare supermercati dall'altra parte del Paese, dove non ci sono casi accertati del virus?
La quantità di informazioni che si stanno condividendo a tutti i livelli su questo tema (dal gruppo WhatsApp di famiglia alle reti ufficiali) ne stanno facendo a tutti gli effetti un “caso” di epidemia social.
Per comprendere l’isteria collettiva che si sta generando, dobbiamo guardare alle caratteristiche proprie dei media digitali (in particolare ai social network) e l’impatto che le condivisioni di ognuno di noi ha a livello materiale nel contesto sociale.
Queste ore ci stanno confermando qualcosa di noto a livello psicosociale: la comunicazione può assumere delle implicazioni sociali estremamente serie, passando da un normale flusso di informazioni, a vere e proprie forme di contagio, che possono portare a comportamenti propri dell’isteria di massa.
Le dimensioni del fenomeno portate nel mondo digitale, se non controllate, possono generare un impatto devastante perché assumono esattamente l’aspetto di un virus tanto potente da non poter essere controllato.
È da giorni che mi faccio la domanda: ma il virus, quello peggiore, è il coronavirus o il tamtam mediatico, amplificato, non controllato, che condiziona la nostra quotidianità?
Una prospettiva utile per comprendere i processi di influenza sociale è quella della memetica, ovvero quell’informazione che si tramanda espressamente per via imitativa. Direttamente attraverso il linguaggio e, indirettamente, attraverso qualsivoglia media. La memetica spiega la diffusione delle informazioni in maniera rapida ed acritica, esattamente come dei virus. Stiamo parlando di veri e propri “virus della mente” ritenendo che l’individuo può essere concepito come mero replicatore dei memi dai quali viene “infettato” durante le interazioni sociali.
In modo ancora più evidente che in passato, i nuovi media amplificano questo comportamento replicativo e facilitano esponenzialmente processi di copia e replicazione. Gli ambienti digitali, infatti, sono un vero e proprio habitat naturale per la proliferazione e l’evoluzione dei memi: il loro trasferimento in rete avviene a prescindere dall’intenzione dell’utente di entrarvi in contatto; è come se gli utenti perdessero le proprie barriere immunitarie sottovalutando il potere epidemico di questi prodotti.
I virus e i worms digitali – per inciso – sono sostanzialmente memi nascosti che si annidano in creature visibili (file, applicazioni, mail, filmati) che noi riceviamo per i nostri contatti on line, scelti e non scelti. Una delle principali questioni poste dalla memetica è proprio l’a-criticità con cui un meme si diffonde: così come il gene, anche il meme è egoista per cui il suo unico scopo è replicare sé stesso; in questo senso il “meme buono” non è tale in funzione di caratteristiche di valore, se non quella di una facile disposizione alla copia.
Per oggi mi fermo con queste prime considerazioni, che lasciano adito a tantissime riflessioni. Iniziando dal nostro comportamento quotidiano, quando, telefonino in mano, interagiamo in modo impulsivo e spesso annoiato, con il nostro smartphone.
Seguiranno altri articoli sull'argomento.
Mauro Migliorati
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