«Prendiamo un caffè?» è la domanda che poniamo o che ci viene rivolta più di frequente.
Spesso non associamo immediatamente la parola caffè alla bevanda, tendiamo invece ad accomunarla ad istanti e luoghi. Se pensiamo alla nostra quotidianità, non usciamo «per un caffè» con la sola intenzione di degustare il delizioso infuso ma anche (forse soprattutto!) per un momento di aggregazione, non a caso il «Caffè» è da sempre luogo di incontri e dibattiti. I Caffè parigini o italiani, ad esempio, a partire dal XVII secolo sono stati gli scenari per eccellenza di discussioni tra intellettuali. Le antesignane di questi luoghi furono le «qahveh khaneh», le cosiddette «scuole di sapienza» arabe dove tutta la tradizione del caffè è cominciata.
Si dice infatti che la pianta del caffè sia stata scoperta nell’attuale Etiopia, mentre la cultura della bevanda abbia avuto origine nei Paesi arabi.
Quella del caffè è una lunga storia, ricca di tradizioni e leggende.
Si narra che Kaldi, un pastore yemenita, notò un comportamento inconsueto delle sue capre dopo che queste ebbero mangiato delle bacche rosse; erano stranamente più energiche. Un monaco yemenita venne a conoscenza delle bacche e, con queste, iniziò a preparare bevande per rimanere vivace e sveglio durante la notte.
Un’altra leggenda vuole che Allah, per risolvere un momento di sconforto di Maometto, ordinò all’Arcangelo Gabriele di consegnare al profeta musulmano una bevanda scura dall’effetto rinvigorente. Dopo aver bevuto l’infuso, Maometto tornò in forze.
Le ragioni sopraelencate contribuiscono a spiegare il primo nome della bevanda «qahwa», cioè «eccitante» in arabo. I musulmani furono tra i primi fruitori del caffè, cercavano di sfruttare le proprietà di questo infuso per rimanere svegli durante le lunghe e intense ore di preghiera. Il consumo della bevanda fu vietato alle donne arabe. Addirittura, secondo qualche altra credenza, probabilmente diffusa anche in Occidente, si pensava che il caffè rendesse sterili le donne in età fertile e per questo fu loro proibito.
È interessante notare che a partire dal nome «caffè», sostantivo maschile, fino alle leggende, le donne siano menzionate esclusivamente per segnalare loro un divieto.
Queste proibizioni fanno sorridere se pensiamo che oggi, nelle aree di coltivazione del caffè, due terzi delle donne sono impiegati nelle piantagioni ed un terzo di loro è impegnato nelle attività di gestione delle fattorie per la produzione del caffè.
Si tratta di un vero e proprio business al femminile. La raccolta e produzione dell’«oro verde» rappresentano per le donne dei cosiddetti Paesi emergenti un’opportunità di emancipazione. Alcune donne, vittime di violenze o di soprusi, trovano nelle attività legate al caffè un modo per ricostruire la loro vita e per creare solidarietà con le altre donne iscritte alle cooperative di coltivatrici.
Le grandi aziende di caffè, tra cui spiccano anche alcuni marchi italiani, stanno iniziando a porre l’accento su questo business ancora in ombra. Sono stati lanciati diversi progetti per sostenere le donne che lavorano nelle piantagioni di caffè. Nonostante l’intraprendenza femminile in questo settore, la parità di genere non è pienamente contemplata poiché i pregiudizi nei confronti delle donne lavoratrici è ancora forte ed inoltre a causa di questo divario di genere, le donne percepiscono meno della metà di quanto guadagnato.
Un’iniziativa degna di nota è Women’s power, ideata e promossa dall’azienda colombiana InConexus.
Il progetto, introdotto nel 2005, ha la finalità di ridurre il gap di genere e di promuovere l’emancipazione femminile attraverso dei laboratori di formazione. Alla terza edizione di Women in Coffee Forum, Kimberly Easson, fondatrice e CEO di The Partnership for Gender Equity, e altre relatrici hanno spiegato che il sapere è la chiave dell’indipendenza femminile perché si riesce ad innovare solo avendo consapevolezza della qualità delle materie prime e del valore che si crea attraverso il lavoro. Al Forum è emersa un’altra informazione rilevante: le lavoratrici di caffè tendono a reinvestire il 90% dei loro guadagni nelle famiglie e nei terreni; questo ci fa capire l’attitudine imprenditoriale che è insita nelle lavoratrici.
La strada verso la completa emancipazione femminile attraverso la lavorazione e la produzione del caffè sembra essere ancora lunga, tuttavia si tratta di un business in evoluzione che sta lanciando segnali fortemente positivi.
Per queste donne «La vita è un bellissimo e interminabile viaggio alla ricerca della perfetta tazza di caffè.»